Favola della “Bedda di li setti Citri”

e del canto del Merlo Bianco

 

Dove un coraggioso Principe ed un Drago sputa-fuoco combattono per possedere o salvare una fanciulla di incredibile bellezza. E dove il canto meraviglioso del Merlo Bianco si dimostra capace di curare il vecchio cuore di un Re e di guarire e seminare amore e passione nel giovane cuore di un Principe.

 

 

Da una novella popolare, che appartiene alla cultura e alle tradizioni orali del Mediterraneo, giunta a me dalla viva voce di mia nonna Caterina. Alla sua memoria intendo dedicare il piccolo lavoro di ricostruzione che vi ho profuso con gioia e alla memoria di tutti i nonni che hanno trasmesso la loro infinita saggezza agli attoniti nipoti coi loro racconti incantati.

 

  C'era una volta, tanto tempo fa, quando il livello attuale di civiltà era ancora lontano da venire, in un immenso ed altissimo castello costruito in cima ad una ripida collina, in una terra chiamata Rampinzeri, da qualche parte nell'entroterra Siciliano, un vecchio Re che lì viveva con la sua famiglia e centinaia di cortigiani. La vita nella piccola corte reale scorreva serena e felice fino al giorno in cui il Re si ammalò e tutti cominciarono a temere per la sua sorte. La Regina si ritirò nei suoi appartamenti, rifiutandosi di parlare con chiunque. Molti sapienti ed uomini di scienza furono chiamati al letto del Re e tutti andarono via scotendo il capo ed affermando con voce disperata di non essere in grado di fare nulla per aiutare il Re. Finché un giorno un vecchio saggio bussò alla porta del castello chiedendo di Sua Maestà e promettendo di essere in grado di guarire quella malattia. Dopo una lunga visita al Re il vecchio disse che l’unico modo di liberarsi di quella malattia era, per Sua Maestà, solo attraverso l’ascolto quotidiano del meraviglioso canto del Merlo Bianco.

  Alle parole del vecchio saggio i familiari del Re recuperarono le speranze di veder guarire il loro caro ma, non appena il vecchio scomparve in fondo al viale, far I frondosi rami degli ulivi Saraceni, tutti si chiesero dove fosse mai possibile trovare un Merlo Bianco ma chiunque si interrogasse, nessuno sapeva dare una risposta. Passarono alcuni giorni e la Regina lentamente se ne tornò silenziosa nel suo isolamento, finché una notte il primogenito del Re, Principe Federico, fece un sogno; ed in quel sogno gli apparve il vecchio saggio. Ed il vecchio, con voce incerta e tremante, gli disse di avere fede, di fare I preparativi per un lungo viaggio e di partire presto alla ricerca del Merlo Bianco: non diede alcuna indicazione su dove trovare il rarissimo uccello ma disse che, con l’aiuto della sua fede, il Principe sarebbe stato in grado di trovarlo da se. Il mattino dopo, non appena fu sveglio, il Principe andò dalla madre e le disse di voler partire immediatamente alla ricerca del Merlo Bianco: si sentiva certo di riuscire a trovarlo. La Regina cercò di dissuaderlo ma il giovane Principe la convinse che quella era l’unica cosa saggia da fare. Così prese con se il suo cavallo bianco (di cui conosceva il coraggio e la generosità), si fece forgiare una spada nuova dalla lama luccicante e fu pronto a partire. Alla porta del castello si fermò a salutare la Regina che gli diede un bacio, gli consegnò tre sfere di vetro incantate e gli disse: "figlio mio, se dovessi trovarti in pericolo e non bastasse la tua spada ed il tuo coraggio a difenderti, prendi una di queste sfere e lanciala dietro le tue spalle: essa ti darà l’aiuto di Dio. Ma ricordati: non voltarti mai indietro per vedere cosa accade: potrebbe esserti fatale!".

  Così il giovane Principe partì e, in mezzo ad un intenso profumo di gelsomino, galoppò attraverso i campi in fiore e le verdi colline del regno di suo padre. Miglia e miglia passarono sotto gli zoccoli del cavallo, dalle colline impolverate all’ardente sabbia della riva del mare; dopo tre giorni a cavallo il Principe si lasciò cadere stremato ai piedi di una palma e, cullato dal suono regolare di centinaia di cicale si addormentò. E mentre dormiva fece un nuovo sogno: gli apparve ancora il vecchio saggio; adesso aveva una barba bianca e lunga, usciva fuori dalla nebbia e camminando sull’acqua del mare gli si avvicinava: "Camina, camina lungu sta via chi ci ‘nn’è nautru cchiu vecchiu di mia. Quannu l’attrovi dumanna a chissu di lu Merlu Biancu comu lu issu". "Camina, camina lungu sta via chi ci ‘nn’è natru cchiu vecchiu di mia … ", con il suono della voce del vecchio saggio nelle orecchie il Principe si svegliò, sentì di aver recuperato le forze, saltò sul cavallo bianco e riprese il suo viaggio. Miglia e miglia passarono, attraverso le antiche rovine dei Templi Greci ed il letto ghiaioso di un vecchio fiume. Dopo altri tre giorni di viaggio il Principe arrivò assetato ad una sorgente d’acqua e lì, dopo aver bevuto dell’acqua fresca e legato il cavallo all’ombra di un gigantesco carrubo, il Principe attese il tramonto del sole e cullato dal suono monotono di migliaia di grilli si addormentò. E mentre dormiva fece un nuovo sogno: ed ancora gli apparve in sogno il vecchio saggio che usciva fuori dalla fresca ombra di un fico. La sua barba era ancora più bianca e più lunga di prima. Stanco e piegato sulle ginocchia il vecchio si sforzò nel tirare fuori la voce: " Camina, camina lungu sta via chi ci ‘nn’è nautru cchiu vecchiu di mia. Quannu l’attrovi dumanna a chissà di lu Merlu Biancu comu lu issu ". Il Principe si svegliò che non era ancora l’alba, ma prese il suo cavallo e riprese ad andare lungo la strada polverosa che piegandosi si arrampicava sui fianchi di gesso delle colline. Il giovane Principe era esausto e la sua speranza di trovare il Merlo Bianco stava cominciando a svanire quando, seduto contro il lato assolato di un grosso masso, vide il vecchio saggio che dormiva: la sua barba era ancora più lunga e più bianca. Il Principe gli si avvicinò e gli prese la mano. Il vecchio saggio, che adesso era molto vecchio, alzò il capo e scrutando profondamente negli occhi del principe disse: "Dietro quella collina c’è un piccolo villaggio: lì tutti sanno dov’è il Merlo Bianco. Come vedi la tua fede alla fine ha vinto, il Signore ti benedica". Detto questo il vecchio appoggiò appena le sue labbra alla fronte del giovane Principe e come d’incanto si dissolse in una nuvola di cenere.

  Alla fine il Principe trovò il villaggio e, sentendo il suono di una campana entrò nella chiesa Madre. Dentro ci trovò il sagrestano, gli si avvicinò e gli chiese dove potesse trovare il Merlo Bianco. Il poveruomo era sordo e continuava a suonare la campana e a ripetere a se stesso: "ndiliu ndilau la missa sona, ndiliu ndilau la missa sona ". Con pazienza ed ostinazione il giovane Principe si fece capire dal sagrestano e questo, non senza una buona dose di riluttanza gli indicò la strada che portava in cima ad un alto costone di roccia dove sorgeva un vecchio castello. Nel maniero viveva una stranissima creatura, un Drago dalla pelle squamosa come quella di un pesce e dalle gambe lunghe e veloci che teneva prigioniera una fanciulla: la proprietaria del Merlo Bianco. Una fanciulla che nessuno sapeva chi fosse e nessuno aveva mai visto in volto. Alla povera fanciulla, nominata nel villaggio “la Bedda di li Setti Citri” (?),  era concesso uscire sul balcone del castello una sola volta al mese, nelle notti di luna piena. In quelle occasioni era stata vista, si diceva, tutta vestita di bianco, il volto coperto da un pesante velo e con in braccio una gabbia anch’essa coperta. L’uscita della fanciulla era accompagnata dal tintinnio di mille campanellini d’argento che la poverina doveva portare cuciti al vestito bianco. Quando poi la fanciulla scopriva la gabbia del Merlo Bianco, questo cominciava un canto melodico, cascatelle di trilli e brevi note solitarie, che taluni dicevano avesse poteri magici. Nessuno si era mai avvicinato tanto al castello da poter vedere da vicino la Bella o da poterle parlare perché il Drago era dotato di un olfatto straordinario e aveva già sbranato tutti coloro che erano passati per sbaglio nelle vicinanze del castello. 

  Il Principe rimase attonito al racconto del sagrestano, non disse niente ma si avviò pensieroso verso la Locanda. L’indomani però portò il suo cavallo bianco dal maniscalco per farlo ferrare a nuovo e seppe dal locandiere che da lì a tre giorni ci sarebbe stata luna piena. Al mercato, il giorno dopo, comprò una balla di cotone, una lunga fune ed un rampino. Attese con pazienza la notte di luna piena e quando sentì che il momento era giunto montò sul suo cavallo con tutta la roba che aveva comperato e si diresse al galoppo verso il castello. Giunto sotto il balcone lanciò il rampino, legato all’estremità della fune, verso la balaustra sovrastante il balcone ed attese. Da lì a poco cominciò a sentire i campanelli della Bedda di li Setti Citri ed in un balzo salì fin sul balcone. Quando la fanciulla lo vide fu presa da spavento e rimase un attimo immobile senza sapere che fare. Il Principe però tirò fuori il cotone: un po’ ne porse alla fanciulla e col resto si mise a riempire i campanelli dell’abito bianco. La fanciulla lo imitò e quando ebbero finito il Principe la strinse con un braccio e cominciò a scendere. Montarono sul cavallo e partirono al galoppo. Ma il Drago, che aveva sonno leggero ed udito finissimo, non sentendo il canto del Merlo Bianco si insospettì e si mise a cercare la fanciulla per tutto il castello; alla fine trovò la fune e capì, saltò giù dal balcone e cominciò ad inseguire i due fuggitivi guidato dal suo straordinario olfatto. In breve il Drago fu in vista dei due e cominciò a sputare fuoco dalle narici, le vampe accendevano gli sterpi in mezzo alla campagna seminando il sentiero di fuochi splendenti nella notte. Quando il Drago fu troppo vicino, il Principe estrasse la sua spada e cominciò a sferrare colpi verso il Drago. Il feroce animale emise una tremenda fiammata che sciolse la spada del Principe. Il giovane allora estrasse dalla sacca che portava con se la prima delle palle che la Regina gli aveva dato e la lanciò alle sue spalle senza voltarsi a guardare. Mentre i due si allontanavano al galoppo dalla palla andata in frantumi si sprigionò una montagna di cocci taglienti di vetro. Il Drago se la trovò a sbarrargli la strada e dopo breve esitazione cominciò ad arrampicarvisi con rabbia. I cocci gli tagliavano le zampe; più volte cadde ricevendo profondi tagli nella carne ma non desistette ed alla fine si trovò sanguinante di nuovo sul sentiero e ricominciò l’inseguimento più inferocito di prima. Ed il Drago arrivò vicino al Principe ed alla fanciulla e stava per lanciare il balzo decisivo per afferrare il cavallo quando di nuovo il Principe lanciò la seconda delle palle senza voltarsi indietro. Dai frantumi della palla fatata si originò una montagna di sapone. Il drago cominciò a scivolare e a cadere; per quanti sforzi facesse non riusciva a stare in piedi ed il sapone penetrava nelle sue ferite e lo faceva urlare per lo straziante dolore. I due galoppavano e speravano di aver seminato l’orrenda bestia ma, dopo poco sentirono di nuovo l’alito infuocato del Drago dietro di loro. Il Principe mise mano alla terza palla e la lanciò con rabbia dietro le sue spalle quando sentì di essere quasi raggiunto. La palla si ruppe con grande fragore e, vuoi per lo schianto vuoi per la disperata voglia di capire la propria sorte e quella del Drago, il Principe si voltò a guardare. Un’immensa montagna di fuoco stavolta avvolse il Drago ansimante; le sue carni bruciarono e la sua corsa finì in una nube di fumo. Il Principe però si rese conto di avere sbagliato, con la calma che lo contraddistingueva fece rallentare il cavallo fino a farlo fermare e portò istintivamente le mani agli occhi: quel fuoco che lo aveva salvato dal Drago, quel fuoco che lui non avrebbe mai dovuto guardare come promesso alla Regina, quel fuoco lo aveva reso cieco bruciandogli gli occhi. Era stato un errore, un errore con conseguenze disastrose. Rimase un attimo a pensare, non provava dolore ma l’idea di non poter mai vedere la fanciulla che aveva appena salvato lo fece piangere copiosamente. Chiese alla fanciulla di guidarlo da suo padre e riprese con coraggio il cammino verso casa.

  Arrivati al cospetto del Re la fanciulla che lungo il viaggio aveva avuto modo di ascoltare dalle labbra del Principe tutta la sua storia scoprì la gabbia del Merlo Bianco ed al solo inizio del suo canto il Re guarì dal suo male ed il Principe, che aveva ormai perso ogni speranza, riprese a vedere le cose intorno a se. Così si avvicinò alla fanciulla e, sollevatole il pesante velo vide due occhi profondi e penetranti, due guance tenere come una pesca, una bellezza pura e sconvolgente: commosso le diede con passione un bacio. Il suo amore aveva trovato il volto capace di guarirlo.

 

 

Versione del 29/04/2000

 

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